Come previsto già da qualche settimana, la Commissione Industria, Ricerca ed Energia della UE ha approvato la bozza di revisione della Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), la cd. “Direttiva Green” che contiene, tra le altre, importanti indicazioni sulle prestazioni energetiche degli edifici.  La proposta di revisione ha ottenuto 49 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astensioni.  Il disegno di legge sarà sottoposto a votazione dall’Assemblea plenaria durante la sessione plenaria del 13-16 marzo.

I contenuti:

Obiettivi principali sono ridurre sostanzialmente le emissioni di gas a effetto serra e il consumo di energia nel settore edilizio dell’UE entro il 2030, e renderlo climaticamente neutro entro il 2050. Inoltre la Direttiva mirare ad aumentare il tasso di ristrutturazione di edifici inefficienti dal punto di vista energetico e migliorare le informazioni su prestazione energetica.

In particolare, la EPBD prevede:

  • la costruzione di edifici a zero emissioni dal 2028, dal 2026 nel caso di edifici pubblici;
  • dotazione di tecnologie solari per tutti i nuovi edifici entro il 2028, ove tecnicamente idoneo ed economicamente fattibile, mentre gli edifici residenziali in fase di ristrutturazione hanno tempo fino al 2032 per conformarsi;
  • raggiungimento almeno della classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033 per gli edifici residenziali;
  • stesse classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030 (la Commissione ha proposto F ed E) per edifici non residenziali e pubblici.

Ogni Stato recepirà a suo modo.

Tutte le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi verranno stabilite da ciascuno Stato membro nei piani nazionali di ristrutturazione. Tenendo conto della diversità dei patrimoni edilizi dei paesi dell’UE, la lettera G dovrebbe corrispondere al 15% degli edifici con le peggiori prestazioni nel parco nazionale.

Rimarranno esclusi i monumenti, così come i singoli Stati potranno escludere anche gli edifici di particolare valore architettonico o storico, gli edifici tecnici, chiese e luoghi di culto. Gli Stati membri potranno anche esentare gli alloggi popolari laddove i lavori di ristrutturazione porterebbero ad aumenti degli affitti che non possono essere compensati risparmiando sulle bollette energetiche.

Infine con la Direttiva si intende consentire agli Stati membri di adeguare gli obiettivi a una quota limitata di edifici, sulla base della fattibilità economica e tecnica dei lavori di ristrutturazione e della disponibilità di manodopera qualificata.

Uno dei passaggi più importanti della Direttiva è quello in cui si specifica che i piani nazionali di ristrutturazione dovrebbero includere regimi di sostegno con obiettivi realistici e misure per facilitare l’accesso a sovvenzioni e finanziamenti. Gli Stati membri devono istituire punti di informazione gratuiti e programmi di ristrutturazione a costo zero.

In particolare, bisognerebbe premiare le ristrutturazioni profonde, soprattutto quelle degli edifici con le prestazioni peggiori, mettendo a disposizione sovvenzioni e sussidi mirati a disposizione delle famiglie vulnerabili. In sostanza, quello che in Italia nell’arco di quasi tre anni, è stato fatto con il Superbonus e altri bonus edilizi.

La direttiva Ue prevede un tempo di due anni dall’approvazione perché i Paesi membri la recepiscano, dunque se l’approvazione avvenisse già questa estate, il recepimento potrebbe scattare dall’estate del 2025, momento in cui sarà fatto divieto di installare le caldaie a combustibili fossili nei nuovi edifici e negli edifici in ristrutturazione. Sono esclusi dal divieto le caldaie che possono funzionare con combustibili rinnovabili (biometano o idrogeno) e gli impianti ibridi (pompa di calore o caldaia a condensazione).

In mezzo il loro declassamento sulle etichette che riportano le performance energetiche da attuare tra il 2025 e il 2026. Passo che punta ovviamente a disincentivarne l’acquisto e a procedere con una sostituzione dell’impianto. Va ricordato, comunque, che il piano varato dalla Commissione prevede linee di indirizzo e non imposizioni immediate. Il divieto, dunque, perché diventi tale necessita di una norma, sulla quale Bruxelles sta ancora lavorando.